Un anno fa circa, il Comune della città dove risiedo ha pubblicato un opuscolo dal titolo “Nate libere… dalla violenza” tradotto in varie lingue, tra cui l’arabo. Ovviamente si vuole arrivre al pubblico straniero, alle donne in questo caso, ma per farlo NON si vogliono spendere soldi. Semplice no?

Vedo l’opuscolo – che potete scaricare qui – e, neanche da dirlo, passo subito alla versione araba. No comment. Ho l’occasione di partecipare a un incontro con la persona che ha promosso l’iniziativa e con bei modi – giuro, quando voglio ne sono capace – le dico in separata sede che ci sono diversi errori. La risposta è piuttosto divertente: “Strano, sai, l’abbiamo fatta fare a — perché ci interessava mantenere una relazione, ma io poi l’ho fatta leggere AL MIO PORTINAIO e lui si è messo a piangere dicendomi, che bell’arabo!”.

Malignamente fra me e me penso che forse il portinaio era analfabeta in ‘arabiyya, per questo si è messo a piangere.

In occasione di un accessissimo dibattito intorno alla questione moschea, un partito decide di fare un manifesto di solidarietà in lingua araba. Mi viene chiesto di darci un occhio. Sapendo chi lo ha tradotto, per evitare discussioni, accetto ma chiedo di mantenere l’anonimato. Rivedo il testo. Il manifesto viene stampato e affisso in città esattamente nella prima versione, con parecchi errori (un errore di file probabilmente, m a nessuno è venuto in mente di farmi vedere le bozze prima di stampare…). Il titolo, tanto per dire, “Stop al razzismo” è stato tradotto con وقف للعنصورية

In occasione sempre della campagna contro la violenza sulle donne viene prodotto un altro opuscolo quest’anno “InFormate per ReAgire!”, ovviamente anche in arabo. La parte in arabo è per lo più illeggibile (problemi di conversione file) e quel poco che è leggibile fa paura:

“La violenza ha mille volti, impariamo a riconoscerli. Tutte insieme possiamo fare qualcosa di speciale. Ci sono persone che ci possono aiutare e sostenere, noi donne non dobbiamo aver paura. Portate questo opuscolo con voi, donatelo ad amiche o conoscenti se avete il dubbio di trovarvi di fronte a una richiesta di aiuto. Uscire dalla violenza si può: questo è un primo passo” ed ecco la traduzione:

العنف وجوه كثيرة، وتعلم أن يتعرف عليهم. معا يمكننا ان نفعل شيئا خاصا، هناك أناس يمكن أن تساعدنا والدعم، ويجب علينا أن النساء لا تخافوا. جلب هذا الكتيب معك، دونال لشخص ما إذا شك في أننا نواجه طلبا للمساعدة. إنها العنف قد: هذه هي الخطوة الأولى

Non male eh? Ovviamente, non so perché insisto ma è più forte di me, ho fatto presente la cosa. Ma è battaglia persa, l’associazione difende a spada tratta chi ha tradotto (che NON èun traduttore, sia chiaro), perché “ha un buon livello di istruzione”.

Tutto ciò per dire che trovo profondamente razzista e offensivo nei confronti degli arabi questo modo di gestire le traduzioni solo per non pagarle il dovuto e offensivo anche nei confronti di chi traduttore lo è per mestiere. Ma del resto si sa, quello dl traduttore è un lavoro non considerato come tale. Del resto l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Così cita il testo dell’art. 1 della Costituzione, tradotto in arabo dalla provincia di Milano in occasione del 60° della Costituzione (e dove, si noti bene, per ben 14 lingue in cui è stata tradotta il traduttore non viene mai nominato) come segue:

إيطاليا جمهورية ديمقراطية قائمة على العمل

E io me la vedo, l’Italia, impettita, in piedi, sull’attenti che con tutto il suo peso grava sul lavoro del traduttore da e in arabo.