Le parolacce in arabo

luglio 12, 2011

Aljarida pubblica nell’ultimo numero un articolo dal titolo “Posto che vai insulto che trovi” (p. 18-19). Mi ha colpito perché l’autore afferma, dopo aver sottolineato la presenza di parolacce in Italia come esperimento linguistico in continua evoluzione:

“In arabo sono molti gli insulti, ma poche le parolacce”.

Ohibò, anche in questo gli arabi sono “diversi”?

“Al contrario dell’italiano, la lingua araba è molto attenta a non incorporare intercalari volgari”.

Eh? Probabilmente vivo su un altro pianeta. O frequento le persone sbagliate, il che è altamente possibile. Ma a me risulta che le parolacce esistano in dialetto e in classico (la prima l’ho imparata da Abu Nuwàs).

Mannaggia. E io che una volta vecchia ho già il mio progetto di ricerca sul quale da anni raccolgo materiale: “Zibb, zuqq, zoz: il morfema zà’ quale indicatore di organi sessuali nel dialetto algerino”. Anni e anni di raccolta di materiale inutili.

Un anno fa circa, il Comune della città dove risiedo ha pubblicato un opuscolo dal titolo “Nate libere… dalla violenza” tradotto in varie lingue, tra cui l’arabo. Ovviamente si vuole arrivre al pubblico straniero, alle donne in questo caso, ma per farlo NON si vogliono spendere soldi. Semplice no?

Vedo l’opuscolo – che potete scaricare qui – e, neanche da dirlo, passo subito alla versione araba. No comment. Ho l’occasione di partecipare a un incontro con la persona che ha promosso l’iniziativa e con bei modi – giuro, quando voglio ne sono capace – le dico in separata sede che ci sono diversi errori. La risposta è piuttosto divertente: “Strano, sai, l’abbiamo fatta fare a — perché ci interessava mantenere una relazione, ma io poi l’ho fatta leggere AL MIO PORTINAIO e lui si è messo a piangere dicendomi, che bell’arabo!”.

Malignamente fra me e me penso che forse il portinaio era analfabeta in ‘arabiyya, per questo si è messo a piangere.

In occasione di un accessissimo dibattito intorno alla questione moschea, un partito decide di fare un manifesto di solidarietà in lingua araba. Mi viene chiesto di darci un occhio. Sapendo chi lo ha tradotto, per evitare discussioni, accetto ma chiedo di mantenere l’anonimato. Rivedo il testo. Il manifesto viene stampato e affisso in città esattamente nella prima versione, con parecchi errori (un errore di file probabilmente, m a nessuno è venuto in mente di farmi vedere le bozze prima di stampare…). Il titolo, tanto per dire, “Stop al razzismo” è stato tradotto con وقف للعنصورية

In occasione sempre della campagna contro la violenza sulle donne viene prodotto un altro opuscolo quest’anno “InFormate per ReAgire!”, ovviamente anche in arabo. La parte in arabo è per lo più illeggibile (problemi di conversione file) e quel poco che è leggibile fa paura:

“La violenza ha mille volti, impariamo a riconoscerli. Tutte insieme possiamo fare qualcosa di speciale. Ci sono persone che ci possono aiutare e sostenere, noi donne non dobbiamo aver paura. Portate questo opuscolo con voi, donatelo ad amiche o conoscenti se avete il dubbio di trovarvi di fronte a una richiesta di aiuto. Uscire dalla violenza si può: questo è un primo passo” ed ecco la traduzione:

العنف وجوه كثيرة، وتعلم أن يتعرف عليهم. معا يمكننا ان نفعل شيئا خاصا، هناك أناس يمكن أن تساعدنا والدعم، ويجب علينا أن النساء لا تخافوا. جلب هذا الكتيب معك، دونال لشخص ما إذا شك في أننا نواجه طلبا للمساعدة. إنها العنف قد: هذه هي الخطوة الأولى

Non male eh? Ovviamente, non so perché insisto ma è più forte di me, ho fatto presente la cosa. Ma è battaglia persa, l’associazione difende a spada tratta chi ha tradotto (che NON èun traduttore, sia chiaro), perché “ha un buon livello di istruzione”.

Tutto ciò per dire che trovo profondamente razzista e offensivo nei confronti degli arabi questo modo di gestire le traduzioni solo per non pagarle il dovuto e offensivo anche nei confronti di chi traduttore lo è per mestiere. Ma del resto si sa, quello dl traduttore è un lavoro non considerato come tale. Del resto l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Così cita il testo dell’art. 1 della Costituzione, tradotto in arabo dalla provincia di Milano in occasione del 60° della Costituzione (e dove, si noti bene, per ben 14 lingue in cui è stata tradotta il traduttore non viene mai nominato) come segue:

إيطاليا جمهورية ديمقراطية قائمة على العمل

E io me la vedo, l’Italia, impettita, in piedi, sull’attenti che con tutto il suo peso grava sul lavoro del traduttore da e in arabo.

Corso di arabo contemporaneo

novembre 29, 2010

O. Durand-A. D. Langone-G. Mion, Corso di arabo contemporaneo. Lingua standard, Hoepli 2010

All’interno di un progetto per l’edizione di manuali per l’insegnamento delle lingue cosiddette orientali tra la casa editrice Hoepli di Milano e l’Università di Roma esce questo Corso di arabo contemporaneo.

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La langue et la frontière

settembre 21, 2010

N. Hamad, La langue et la frontière. Double culture et polyglottisme, Denoël, Paris 2004.

Hamad, psicanalista, presenta in questo volume alcune considerazioni sullo statuto dell’immigrato – considerato altro e differente in maniera supposta per permettere all’Io di sentirsi parte di una comunità distinta – a partire dalla lingua, proponendo, per la fondazione di una nuova cultura senza per questo abbandonare i propri riferimenti simbolici, di tradire, di rifiutare cioè l’adesione incondizionata a qualunque verità che abbia pretese di essere totale e totalitaria e, per far questo, introduce il concetto di “desolidarietà”.

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L. Veccia Vaglieri, Grammatica teorico pratica della lingua araba, Istituto per l’Oriente, Roma 1936

Nous aspirons non pas à l’égalité, mais à la domination. Le pays de race étragère devra redevenir un pays de serfs, de journaliers agricoles ou de travilleurs industriels. Il ne s’agit pas de supprimer les inégalités parmi les hommes, mais de les amplifier et d’en faire une loi (Ernest Renan).

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